Troppo facilmente si associa il cipresso ai cimiteri, a qualcosa di funebre, è vero i cimiteri che sono ricolmi di cipressi ma chi si limita a identificare il cipresso con la fine della vita umana forse non è nato in Toscana e probabilmente perde di vista tantissimi altri aspetti fondamentali di questa pianta, tantissime altre collocazioni, tantissimi altri paesaggi.
Il cipresso ha avuto un’importanza ornamentale e simbolica ininterrotta per 3000 anni, gli Egizi amavano la nobiltà della sua fibra e utilizzavano solo il cipresso per costruire i sarcofagi per la sepoltura dei defunti, mentre Etruschi e Romani piantavano cipressi intorno ai cimiteri e alle tombe di personaggi illustri perché la sua resina profumata copriva l’odore che emanava dai tumuli.
Gli artigiani usavano e tuttora usano il legno di cipresso per la sua eccezionale resistenza, lo rende pregiato per la realizzazione degli scafi delle navi, per portoni di ville e palazzi, per mobili e strumenti musicali.
Secondo la Bibbia, l’arca di Noè era costruita col cipresso e la tradizione ci dice che la croce di Cristo era fatta anche di cipresso, oltre che di cedro e di pino. Per i Giudei prima e per i Cristiani, dopo, il cipresso era simbolo di eternità.
Nei conventi del Medioevo i cipressi servivano da barriera frangivento che delimitava lo spazio sacro da quello laico, inoltre, ricollegandosi alla tradizione biblica che vede al centro della Gerusalemme Celeste l’albero della Vita, i monaci erano soliti piantare in mezzo al chiostro un cipresso o un cedro, richiamando così l’immagine dell’eterna città che brilla «pari a una gemma di diaspro cristallino».
Il cipresso è sempre stato un simbolo di immortalità, di distacco dal “mondo”, ma aveva anche la funzione concreta di frenare il vento che intorno agli edifici sacri, costruiti di solito sulla sommità delle colline, è piuttosto intenso.
Uno dei posti più amati e fotografati della Val d’Orcia sono i “famosi” cipressini che si trovano nei pressi di San Quirico d’Orcia, su una collinetta che domina da sud un tratto della Via Cassia e che attraversa la parte settentrionale del territorio comunale di San Quirico d’Orcia, in località “I Triboli”.
I cipressi rappresentano il simbolo naturalistico e paesaggistico, non solo del comune e della zona in cui sono situati ma anche dell’intera Toscana. Il cipresso non è però nato in Toscana: la sua origine è nel bacino del Mediterraneo orientale, tra la Persia, la Grecia e l’Egitto dove vegeta spontaneamente. Fu importato in Italia dai Fenici e dai Greci, mentre in Toscana, dagli Etruschi.
Il cipresso è stata una pianta molto ritratta da pittori e artisti che lo ha portato a divenire un elemento caratteristico delle strade, dei confini di proprietà, dei poderi e delle colline della Val d’Orcia.
Al gruppo di cipressi nelle colline della Val d’Orcia sono legate molte leggende e dicerie, anche se la sua storia è legata al “roccolo” di caccia, ovvero un boschetto creato dai cacciatori per attirare gli uccelli. I roccoli di caccia si diffusero nel Settecento in larga misura in Lombardia, Veneto e Toscana. Fino al 1968 venivano usati principalmente per la cattura degli uccelli con reti, pratica poi vietata con l’introduzione della legge 799/1967.
Il cipresso ha avuto un’importanza ornamentale e simbolica ininterrotta per 3000 anni, gli Egizi amavano la nobiltà della sua fibra e utilizzavano solo il cipresso per costruire i sarcofagi per la sepoltura dei defunti, mentre Etruschi e Romani piantavano cipressi intorno ai cimiteri e alle tombe di personaggi illustri perché la sua resina profumata copriva l’odore che emanava dai tumuli.
Gli artigiani usavano e tuttora usano il legno di cipresso per la sua eccezionale resistenza, lo rende pregiato per la realizzazione degli scafi delle navi, per portoni di ville e palazzi, per mobili e strumenti musicali.
Secondo la Bibbia, l’arca di Noè era costruita col cipresso e la tradizione ci dice che la croce di Cristo era fatta anche di cipresso, oltre che di cedro e di pino. Per i Giudei prima e per i Cristiani, dopo, il cipresso era simbolo di eternità.
Nei conventi del Medioevo i cipressi servivano da barriera frangivento che delimitava lo spazio sacro da quello laico, inoltre, ricollegandosi alla tradizione biblica che vede al centro della Gerusalemme Celeste l’albero della Vita, i monaci erano soliti piantare in mezzo al chiostro un cipresso o un cedro, richiamando così l’immagine dell’eterna città che brilla «pari a una gemma di diaspro cristallino».
Il cipresso è sempre stato un simbolo di immortalità, di distacco dal “mondo”, ma aveva anche la funzione concreta di frenare il vento che intorno agli edifici sacri, costruiti di solito sulla sommità delle colline, è piuttosto intenso.
Uno dei posti più amati e fotografati della Val d’Orcia sono i “famosi” cipressini che si trovano nei pressi di San Quirico d’Orcia, su una collinetta che domina da sud un tratto della Via Cassia e che attraversa la parte settentrionale del territorio comunale di San Quirico d’Orcia, in località “I Triboli”.
I cipressi rappresentano il simbolo naturalistico e paesaggistico, non solo del comune e della zona in cui sono situati ma anche dell’intera Toscana. Il cipresso non è però nato in Toscana: la sua origine è nel bacino del Mediterraneo orientale, tra la Persia, la Grecia e l’Egitto dove vegeta spontaneamente. Fu importato in Italia dai Fenici e dai Greci, mentre in Toscana, dagli Etruschi.
Il cipresso è stata una pianta molto ritratta da pittori e artisti che lo ha portato a divenire un elemento caratteristico delle strade, dei confini di proprietà, dei poderi e delle colline della Val d’Orcia.
Al gruppo di cipressi nelle colline della Val d’Orcia sono legate molte leggende e dicerie, anche se la sua storia è legata al “roccolo” di caccia, ovvero un boschetto creato dai cacciatori per attirare gli uccelli. I roccoli di caccia si diffusero nel Settecento in larga misura in Lombardia, Veneto e Toscana. Fino al 1968 venivano usati principalmente per la cattura degli uccelli con reti, pratica poi vietata con l’introduzione della legge 799/1967.